martedì 25 marzo 2014

Il testamento di Luigi











Ecco, sì, più o meno scriverei anch'io così alle mie figlie, con le parole dello scrittore Luigi Santucci, morto nel 1999.




Carissimi, eccovi dunque la mia voce. Così vi convincerete che non me ne sono andato del tutto. La voce di chi è scomparso è veramente più che una reliquia: è la proiezione di un’anima, è la componente più simbolica di una persona, vorrei dire che è una sua piccola “risurrezione”.
Non sono qui a dirvi “non piangete”. Se vi fa bene piangere, accettate il pianto, coltivatelo anzi. Ma che sia un pianto, che siano lacrime serene, o addirittura gaudiose. O persino allegre. Mi capite? Perché “serene”, perché “allegre”? Perché la mia vita è stata una vita “privilegiata” e, oso dire, felice. 
La ragione più segreta e più forte per cui ho fatto questo mestiere di scrittore, e della quale ho preso coscienza ultimamente, è… sì, è la vocazione, la spinta, la volontà di lodare. Lodare quante più cose posso. Persone, luoghi, rapporti umani, sentimenti, autori e le loro parole, o se musicisti le loro musiche.
Ho lodato, ho cercato di applaudire, di risuscitare nella lode, quante più cose ho potuto. Anche la vecchiaia, che come ricordate non mi è mai stata simpatica né gradita. Scrivere per lodare. Dunque certo una letteratura alquanto inammissibile, in anni come questi dove quasi tutto è squalificato come negativo, come spregevole, come il contrario che “degno di lode”. 
Spero che questa mia chiacchierata a ruota libera lasci voi, figli miei, con un grande conforto: nel sapere, nel sentirmi con questa voce affermare che me ne sono andato in pienezza di soddisfazione e di gratitudine alla mia sorte.
E adesso… buona vita, figli miei. Buona vita.
Vi raccomando, figli cari: date ai vostri bambini l’infanzia più bella possibile, più favolosa possibile. Un’infanzia soprattutto di pace, di armonia, con lo spettacolo (che a me purtroppo è mancato) di un’intesa e di un’armonia, possibilmente di un amore che duri e si approfondisca col vostro partner. Se posso darvi un viatico, una formula che può sembrare artificiosa ma non lo è, sotto il vostro tetto, io vi raccomando, sotto gli occhi dei vostri figli, siate espansivi, coccoloni l’un verso l’altra. Non cedete, col passare degli anni, alla stanchezza dell’esprimere i vostri sentimenti familiari. La vita intorno è spesso tanto crudele, cinica e arida; la vita dev’essere invece dolcezza, deve avere la violenza e la testardaggine della dolcezza.
Io vorrei che voi, nell’amare l’altro, vorrei che scriveste su una vostra ideale lavagna domestica alcune parole – come dire – più stimolanti, più prepotenti. Le parole entusiasmo, immaginazione, cocciutaggine; e magari anche, sì, le parole pietà innamorata, memoria e sogno. Perché si ama non solo col cuore e coi sensi, ma si ama con queste facoltà (l’entusiasmo, l’immaginazione, la fantasia, la memoria, il sogno, accidenti!), mobilitate tutte e tutti i giorni per quel miracolo che è la conservazione e la crescita dell’amore.
Se dovessi lasciarvi in questo testamento un solo vocabolo, un solo “grido” di raccomandazione, sarebbe questo: generosità. Siate generosi, “sempre”, l’uno verso l’altro, l’uno verso tutti. La generosità non s’illustra – e me ne guardo bene – con massime né con riferimenti particolari. Vi dico solo: siate generosi, e poi siate tutte le altre cose. Sarete felici e fortunati. La generosità è la testa e la coda di quella cosa più grande, metafisica, che è la carità: è il suo aspetto spicciolo e quotidiano; e vorrei dire che la generosità ha un suo aspetto “sportivo”, una sua euforia come premio immediato. Sì, la generosità è la ruffiana della gioia… e la gioia è importante. Credeteci nella gioia; e andatene a caccia, tutti i giorni.
[Il testamento di Luigi Santucci, dalla rivista Famiglia oggi, novembre 1999, pp. 48-52]

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