mercoledì 19 marzo 2014

Il racconto del mercoledì



La mosca
di carlozanzi

Sì, ce l’aveva, il racconto breve era già scritto in testa, l’illuminazione era giunta, l’idea buona, l’intuizione. Si sedette, prese carta e matita, iniziò. Trovò il suo incipit una figata.
Correva in discesa, il miracolo della buona scrittura si srotolava davanti ai suoi occhi, la mano si coordinava con le idee, non aveva bisogno di premere la mina contro il foglio. Tutto leggero, tutto meritevole di lettori, di consensi, di fama. Di gaudio intellettuale.
Ma entrò in sala una mosca. E cominciò a fare il suo mestiere: ronzare. Cioè distrarre. Il rumore e quel volo inatteso e sgradito mozzarono l’incanto. Guardò la mosca, il foglio, l’animale alato e  sporco di cacca, la matita, sentì la rabbia salire e l’intuizione svanire. Si alzò, corse in cucina, tornò con un canovaccio e prese ad agitarlo in aria alla caccia del minuscolo disturbatore.
La mosca stava ora silenziosa sopra una tenda. Si avvicinò, menò il fendente ma la tela s’ammosciò e la mosca ripartì, ronzante più di prima, forse persino sghignazzante. A quel pensiero –essere derisi da un nero e volgare insetto- la rabbia prese consistenza di vendetta. La mosca, incauta, si posò sul tavolo, vicino al foglio con il raccontino interrotto. Si avvicinò guardingo, cercando di scansare lo sguardo degli sferici ommatidi della mosca perditempo. Partì la raffica, la mosca la scansò, il foglio di carta si sollevò mosso dal vento, cadde a terra, lui si imbestialì, inseguì l’animale, tranciò alcune fogliette di azalea, quindi una grossa foglia di ficus, la mosca si incollò al soffitto ma, suicida, discesa verso di lui, quasi volesse farla finita, pentita di aver interrotto la colata di creatività che aveva invaso quel locale di periferia. Lo schermo del televisore fu il suo Golgota. La stordì, la fece cadere a terra con poco ronzio, la vide sbattere le alucce, sobbalzare, la schiacciò con tutta la forza del suo piede e dei suoi chili. La appiattì sul legno. Con calma andò in cucina, recuperò scopa e paletta, la fece accomodare senza rimorsi, la fece volare, morta defunta, giù dal balcone.
Raccolse il foglio da terra, si risedette. Prese la matita. Cominciò a succhiarla come uno studente svogliato.

Il racconto era svolazzato via. Come la vita della mosca. Che –racconterà in seguito al dio degli insetti- ci era rimasta male, perché era entrata nel locale per far compagnia a quello scrittore: lo aveva visto solo, triste, curvo sul foglio, senza idee. 

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