domenica 23 marzo 2014

Herbert 43

Herbert
di franco hf cavaleri



Torino 2006

Vigilia dell’apertura dei Giochi.
Lascio ancora chiusa la valigia in camera, esco con già addosso l’uniforme per captare le prime impressioni della Torino olimpica.
Tra via Gaidano e corso Orbassano sento dietro di me un chiacchiericcio: “sì, è uno di loro, è vestito tutto uguale…” e subito dopo tre, quattro ragazzine -dieci, dodici anni- mi circondano. Non sarà mica una baby gang? No, per niente. “Signore, signore, quando passa la fiaccola? Vero che passa anche di qui?” Mi tranquillizzo, non hanno “brutte intenzioni” e dico di sì.
Hanno una bibita in bottiglietta, consumata a metà.
“Ne beva un poco, dai, ne beva…”
Ecco che il “rischio” alla fine c’è, un attacco microbatterico come minimo.
Riesco a disimpegnarmi senza offenderle, accelero il passo, le lascio indietro mentre riempiono l’aria di allegria.
Ecco la Stadio Olimpico e il Palasport Olimpico, si passa di fianco al Villaggio, ecco l’Oval e il Palavela, per finire con il Main Media Centre al Lingotto, dove spenderò i miei giorni da volontario.
Un po’ dappertutto c’è ancora l’aria dei “lavori in corso”.
Al ritorno prendo il 18 che passa da via Nizza. Il tram non fa in tempo a girare per via Passo Buole, che già si ferma. L’autista si alza e ci dice di scendere, perché tanto non può fare un metro di più. L’ingorgo è gigantesco, una volta tanto non sgradito, anzi accettato con gioia. Mezza Torino è in strada per festeggiare il passaggio della fiaccola. Gambe in spalla e via in mezzo alla folla.
Gli occhi dei bambini brillano, mi sa che anche i grandi…
Tra bandierine e striscioni è festa vera. Le Olimpiadi -lo sport!- hanno regalato a tutti questi bambini e ragazzi un sogno grande grande.
Un sogno che vuol dire speranza.
Speranza in un mondo davvero bello.
Olimpia viva.
Dicono che lo spirito olimpico sia morto e sepolto. Non è vero.
Certo, tutti ci si appiccicano addosso, nel bene e nel male, dimenticando che Olimpia vale solo per se stessa. La città e il territorio per il loro rilancio e sviluppo, gli sponsor e i commercianti per affari, i contestatori e i provocatori per averne visibilità, i terroristi per la loro follia, ma anche tutti noi per ricavarne ribalta e legittimazione. Come quando la fiaccola passava e si diceva che fosse l’occasione per mettere in bella mostra i nostri campioni e le nostra città.
Vale anche con noi volontari, che di “paga” ci attendiamo una esperienza irripetibile.
Qui sta il paradosso: tanto più si argomenta che l’olimpiade sia soffocata dagli interessi, tanto più se ne riconosce la validità. Si provi a cancellare il gesto atletico, lo sforzo agonistico, la sofferenza o la inesprimibile sensazione d’aver vinto o perso, con gli antagonisti e con i propri limiti.
Lasciate pure tutto il resto: l’organizzazione, la festa, il clamore. Credete davvero che nei cuori della gente scatti lo stesso quell’inconscia attrazione? Sbagliereste.
Senza infrangere il comandamento, nominiamo Gesù quando scacciò i mercanti dal tempio. Ma li lasciò, anzi ci lasciò tutti al di fuori di esso. Perché il commercio, lo scambio sono parte della vita di tutti noi. Anche per le Olimpiadi questo dare e ricevere va accettato: l’importante è ricordarsi che il suo posto è attorno e non dentro il “tempio” olimpico.
Dietro le quinte.
Ciascuno del volontari, chi più chi meno, ha fatto la propria parte. Ha tradotto in azioni concrete la pianificazione teorica del Comitato organizzatore, anche mettendoci quel pizzico di italica e individuale inventiva, che ha permesso di affermare a ragione che è andato tutto benissimo. Tanti giovani specie nei settori più specializzati, ma parecchi “over”… come gli alpini di guardia ai “check point”.
Senza noi volontari, l’Olimpiade o non avrebbe funzionato o la si sarebbe fatta a costi immani. Lavoro sì, ma anche gli appuntamenti dati e presi per il dopolavoro, a spasso per le mille occasioni torinesi, il rimescolio con lingue e abitudini diverse. Il brivido degli incontri ravvicinati con i campioni e i personaggi, fino alle “fieste” finali, intrise di triste allegria.
Venti giorni di vita fuori dalla vita. Eccezionali, irripetibili.
Discipline mèta-olimpiche.
Una disciplina poco conosciuta, anzi del tutto trascurata dai “media” in questi giochi olimpici torinesi. Implacabili, preparatissimi, mai un istante di dubbio o di stanchezza: “atleti” che non hanno dato quartiere, né ai giornalisti e né ai personaggi, presenti ovunque ci fosse un ufficio di rappresentanza, un team in viaggio sulle linee olimpiche. Parlo degli instancabili cercatori di spillette, le magiche “pin”.
Giorno dopo giorno comparivano sempre più numerosi i biglietti di “sorry, no pins left” nel mentre si riempivano i collarini dell’accredito, straripando sui baveri di giacche e pile, in una grandiosa competizione alla ricerca delle “pin” più belle.
Gran finale con una meritevole, ma ignota “medaglia d’oro” nel sollevamento dell’accredito più appesantito.
*
Inutile negarlo e sarebbe comunque ipocrita fingere che non succeda.
Dai messaggini/bigliettini lasciati strategicamente a dare disponibilità, alle occhiate di intesa per incontri ravvicinati, alle sussurrate e ammiccanti proposte per amichevoli uscitine serali…
Decine di migliaia di persone riunite tutte insieme nell’esaltante splendore del gesto agonistico, una esplosione di giovani energie, uno “sturm und drang” ormonale. Perché scandalizzarsi?
Magia olimpica.
A tarda sera, quasi notte, scendo dalla linea olimpica X (frequenza tre minuti tre) in piazza Caio Mario, mi sposto alla fermata dell’autobus 40, quello che di solito “quando passa, passa”, che mi trasporterà lungo via Tazzoli verso fuori, dove ho affittato una camera.
In centro e nei siti olimpici impazza la festa, qui nella periferia popolare arrivano salutari, seppur lontani riflessi. La signora che vede strade ben pulite, il lavoratore che gode di trasporti puntuali e frequenti, la giovane commessa di negozio che mi sottolinea come possa sentirsi finalmente sicura, anche se esce a tarda ora.
E’ una eredità di grande responsabilità per gli amministratori, un impegno da non tradire, è una scintilla e una occasione per tutti.
La festa olimpica è finita, una parentesi che non poteva che chiudersi. Per Torino e i torinesi il lavoro è già cominciato.
Come ha scritto Arrigo Levi, se davvero conoscete i torinesi, allora saprete che, nel modo loro, questa strada la sapranno percorrere. Questo è il regalo che l’Olimpiade, anzi tutto lo sport, ha fatto alla società civile di Torino.
Dietro le quinte di questo impegno ci siamo stati anche noi volontari, in ventimila abbiamo solcato con la nostra uniforme di pace le vie e i quartieri di Torino, i paesi della montagna piemontese, ammirati e additati con simpatia, potendo con orgoglio dire: “ce l’abbiamo fatta!”.

43-continua

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