lunedì 17 marzo 2014

Herbert 37

Herbert
di franco hf cavaleri



Carati

Eravamo usciti a fine riunione del nostro “team” di volontariato e, come eravamo soliti fare, anche in quell’occasione avevamo attraversato la strada dall’ospedale dove operavamo fino al bar di fronte, per le solite e accese due chiacchiere supplementari prima di lasciarci per la cena.
Era la mia maniera di tenere unito il gruppo, un modo di coltivare l’amicizia davanti a un caffè, forse un calice di bianco, al di fuori degli obblighi dell’associazione di volontariato, che avevo creato e di cui ero fondatore e presidente, sebbene preferissi farmi chiamare con il ben più significativo termine di “coordinatore”.
C’eri anche tu, Carati, colonna portante e mio impareggiabile braccio destro fin dall’inizio della nostra bella avventura.
Quella volta, quando c’eravamo salutati e tutti se ne andavano verso le automobili, tu mi trattenesti per un braccio: “dai, ancora un calice...”
Come dirti di no, a te che trasportavi il tuo mestiere di profondo conoscitore di cibo e di buon vino nelle nostre varie iniziative pubbliche, alle quali garantivi una più che gustosa “fine dei lavori”.
A dire il vero, lì per lì non ci avevo fatto caso, ma era strano che non volessi ritornare subito a casa, come sempre facevi.
Avevamo finito di bere e ce ne uscimmo, scambiandoci il saluto.
Mi fermò quasi subito: “andiamo da un’altra parte.”
Da una zona all’altra della città sempre più di notte, vagando alla scoperta di quello o di quell’altro posto, per assaggiare quel tal vino, per provare quel tal boccone.
Passava il tempo e tu non volevi lasciarmi tornare a casa.
A pensarci bene, avevi un sorriso non strano, ma più quieto del solito, forse dovrei dirlo enigmatico.
Sì, parlavamo fitto o anche ce ne stavamo zitti, incuranti degli altri e del tempo che passava, dimentichi di avere mogli alle quali far ritorno, chissà quanto in agitazione.
Eravamo quasi all’alba quando ci costringemmo a un saluto definitivo, pronti a fronteggiare le ire di casa, le conseguenze di un comportamento da incoscienti.
Mentre ti allontanavi verso la tua automobile, a mezza voce mi accennasti a quel tuo fastidioso dolore, che ti distoglieva dal piacere di andare in bici.
Mi girai un attimo, per una mezza battuta: “dai, non pensarci, passerà.”
Non ti ho più rivisto, amico mio, ho compreso il motivo del nostro vagare senza fine di quell’ultima notte, come di una tua testimonianza di amicizia profonda.
Tu lo sapevi, mentre parlavamo di tutto e di niente, come quel “doloretto” fosse un male bastardo, che di lì a pochissimo ti avrebbe portato alla tomba.
Ciao Carati, caro amico mio.


37-continua

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