sabato 15 marzo 2014

Herbert 35


Herbert
di franco hf cavaleri


La lunga mano della Legge

Dall’alto e austero scranno di mogano nero nel tribunale vecchio tipo, il giudice chiese stentoreo a Herbert: “allora, dica quanto valeva il vespino…” Il vespino? Quel vespino che riportava Herbert a più di dieci anni prima? Che gli era stato, dolorosamente, rubato?
Ripensò a se stesso, a Herbert, un giovane studente, che passava le sere d’estate all'ippodromo varesino.
Non certo per puntare ai cavalli, ne era allergico, semplicemente ci lavorava.
Le “Bettole” erano molto diverse da ora, sapevano di antico con una struttura in muratura e le baracche in legno dove si vendevano i biglietti e si pagavano le vincite.
C’era la “tribuna” per i benestanti e c’era “il prato” più popolare e più godibile dalle famiglie, al centro dell’anello di gara.
La prima volta che c’era andato, sull’onda di un sotterraneo tam tam, era rimasto intruppato nella folla dei pretendenti alla chiamata, che si faceva a ogni riunione per gli incarichi di giornata.
A sorvegliare, quasi una padrona dell’ippodromo, c’era “la signorina”, la segretaria del presidente, onnipresente, onnipotente, senza età.
Inconfondibile con il suo cappellino sempre in testa.
Arrivava il vecchio e goffo commendatore, incaricato di assegnare i ruoli, con il suo foglione e con il suo lapis, per chiamare gli interessati a questo o quello sportello.
Non è che lo facesse in maniera efficiente, un po’ confusionario anzi. In fondo era avanti negli anni, incerto nel segnare. La baraonda ne era la logica conseguenza.
Nel gridare di tutti, la lucidità di Herbert nell’aspettare il momento buono: chi va alla cassa numero...? Io! Me ne sarai capace? Eccome!
Non era stupido Herbert, non tardò a fare carriera in quell’impegno che gli durò una dozzina di anni, prima a fare il cassiere e poi come riassuntore nel “prato”, poi trasferito nella ben più impegnativa “tribuna”, infine all’interno degli uffici con il compito di calcolare le quote nelle scommesse del "vincente e piazzato".
La paga erano soldini preziosissimi, con i quali proprio quell’anno Herbert aveva comprato un motorino, l'agognato Vespino 50.
Un bel giorno lo lasciò nei pressi della Brunella, davanti alla sede di un gruppo cui apparteneva, per andare a Milano in treno: non si spaventava a dover camminare attraverso Varese verso la stazione.
Che sconquasso per i sentimenti di Herbert al rientro serale, quando non lo ritrovò.
Fece la denuncia. Non ne seppe più nulla.
Passò un decennio e oltre, Herbert ormai si era laureato e aveva il lavoro, quando ricevette dal Tribunale di Varese l'ordine a comparire per un processo, del quale non veniva data alcuna spiegazione. Esame di coscienza inevitabile. Che cosa mai avrò fatto? Dell’Italia ufficiale Herbert aveva una percezione per così dire borbonica, da stato-padrone: non prenderle e schivare...
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“Allora, mi vuol dire quanto valeva il suo vespino?” Alla rinnovata e imperiosa richiesta del giudice togato, solo in quel momento Herbert aveva compreso che l'autore dell'antico furto era stato individuato, anche se la Vespa era svaporata. Il ladro veniva ora regolarmente processato, poco importa se dopo qualche annetto. Dunque era solo una chiamata per la parte lesa, sperare che il due ruote esistesse ancora sarebbe stata una pia illusione. Benissimo, piegò a faticosa memoria le cose, dette più o meno la cifra del danno subìto.
In verità non vide in aula l’imputato, a quanto pare gli bastava l’avvocato difensore.
L’aula al piano terra del palazzaccio di piazza Cacciatori delle Alpi era baroccamente solenne, gli scranni del giudice e del pubblico ministero elevati.
Si alzò l’accusatore a dire che, per quanto fosse certo l'autore del furto, l'esigua entità del danno richiedeva la chiusura del processo, senza condanna.
Il difensore si accodò, il giudice sentenziò l’archiviazione.
Herbert era ammutolito.
Ci voleva la costosa celebrazione di un processo per deciderlo?
Comprendete bene la due volte beffa? La prima per aver perso il Vespino.
Poi per quel valore "esiguo" che invece era stato per Herbert il lavoro di un'intera estate, troppo facile dire che è poca cosa.
Ti fanno anche perdere una mezza giornata di lavoro quando, senza nessuna spiegazione, ti ordinano di presentarti in Tribunale e sembra che proprio tu sia il delinquente e scavi nella memoria per scoprire che diavolo puoi mai aver combinato.
In quanto alla Vespa del povero Herbert? L'avevano individuata i Carabinieri, pensa te, in provincia di Piacenza, avevano preso nota del conducente senza al momento poter sequestrare il mezzo.
Fatti gli accertamenti erano andati a cercarla, avevano trovato e denunciato il tizio e avviato la poderosa e ponderosa macchina della Giustizia, la cui “longa manus” anche tardi, ma arriva.
Il Vespino? Chiaro che il ladro l’avesse fatta sparire appena girato l’angolo.
Boh! Secondo la Giustizia in fondo lei era solo un esiguo danno collaterale nel trionfante rituale della sovrana, perentoria e severa procedura penale.

35-continua

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