lunedì 10 febbraio 2014

Herbert 8


Herbert
di franco hf cavaleri



...lei che dovrai abbandonare, quando il male ti ucciderà



“Pipì dalle ore dieci e cinquantacinque alle ore undici e cinque”: così recitava la caricatura stilizzata dell’autorevole e spilungone preside, che se ne stava disegnata di spalle sui “tazebao”, conquista tipica di un Sessantotto, svelto a svaporare almeno in quell’istituto nell’indifferenza.
Anche quel giorno, in quei dieci ed esclusivi minuti di intervallo non mancavano né la ressa e né un’allegra confusione, che mescolava classi e sezioni e che vanificava gli sforzi dei bidelli affinchè le orde non travalicassero da un piano all’altro.
Se ne stava in disparte Herbert e non per alterigia, era solo una sua vecchia abitudine, residuata fin da bambino in una mai superata timidezza, per quel suo essere alto e allampanato. Acqua passata, ma non del tutto.
Non solo questa, erano terminati (ma ben li ricordava) i tempi delle implacabili prese in giro nella nuova città in Italia, dove la famiglia si era trasferita, per il suo parlare con un accento, che lo denunciava impietosamente di origini diverse.
In quella scuola era ormai un simbolo, uno dei capi, da quando aveva in quattro e quattr’otto organizzato uno sciopero a difesa di una supplente, tanto brava e gradita, quanto a rischio di licenziamento per mere questioni di burocratiche graduatorie.
Uno sciopero addirittura, un qualcosa di eclatante per una cittadina con tutto il bello e brutto dell’essere provinciale, una rivendicazione pubblica che lui aveva condotto con foga e un pizzico di rabbia anche davanti a un’autorità oramai non tanto indiscussa, nelle assemblee di studenti che lui stesso guidava come fazioso presidente, facendosi forza nell’affrontare il dibattito, lui che non aveva la parola pronta o la battuta ficcante, lui che preferiva la lenta riflessione al botta e risposta del pubblico rumoreggiante dei suoi compagni.
Non solo la protesta però, aveva saputo in parallelo costruire e mantenere così buoni rapporti con alcuni dei professori da poterci parlare anche fuori dai ruoli, di andarli a trovare a casa, come di passare assieme a loro serate e tempo libero.
Abitudini inusuali per quei tempi, risapute a scuola, fonte di prestigio e di qualche inconfessata invidia di qualcuno dei suoi compagni.
Tolse lo sguardo dalla finestra alle parole di Emi, una delle sue compagne di classe, con cui c’era una amichevole intesa.
“Herbert, stiamo organizzando una piccola castagnata, vogliamo andare nel bosco a farla con un po’ di gente. Tu che ne pensi? Ci vieni?”
“Perché no? Come ci organizziamo?”
Il programma era semplice, procurarsi le castagne, trovare bastanti auto per portare tutti e un qualcuno che si ricordasse del mangiadischi e di un buon numero di quarantacinque giri da far andare a squarcia timpani.
“Guarda Herbert che porto anche una mia amica di un’altra scuola, anzi sarà lei che ci viene a prendere con la sua macchina, fatti trovare a casa mia.”


8-continua

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