martedì 26 novembre 2013

Il mio Karol




Ieri è arrivata a Varese la reliquia con il sangue del beato Papa Giovanni Paolo II. Si fermerà una settimana. Almeno 1000 varesini erano presenti nella basilica di San Vittore, stando alle cronache locali. Io non c'ero. Ho profondo rispetto per tutti coloro che trovano in questi segni conforto e ragioni in più per credere. La mia fede, invece, non ne ha beneficio. Voglio ricordare però il grande pontefice polacco con questo pezzo, che scrissi nella rubrica Pensieri & Parole sul quotidiano La Prealpina nel 2005.



IL MIO KAROL

Il mio Karol Wojtyla inizia nell’inverno (o primavera) del 1978, sotto le scure volte della piccola chiesa dell’Università Cattolica di Milano. Ci andavo spesso. Quel giorno dissero che si sarebbe celebrata una Messa. Entrò un vescovo, riferirono il nome (o forse no, dissero solo che era l’arcivescovo di Cracovia), mi fermai. Della predica ricordo poco: sono certo però che non mi venne mai da sbadigliare. Poi arrivò il 16 ottobre del 1978, stesso anno. Faceva freddo a Merano, la prima neve sulle colline e il clima ridanciano e ‘svaccato’ della caserma Rossi. Fra epiteti poco lusinghieri, scarsa fede (soprattutto nella Chiesa Cattolica) e anche qualche bestemmia seppi che avevano eletto il nuovo Papa. Vedendolo alla tele, dissi: “Ma quello lo conosco!” e, come molti, mi commossi al suo “Voi mi corrigirete!” Poi il mio Karol proseguì nella primavera del 1980 quando, per il decennio della Comunità Shalom di Biumo Inferiore, andai in piazza San Pietro e gli sfiorai la mano. Fra quel 1980 e il 1981 del novello Papa ebbi modo di conoscere (non senza qualche difficoltà di comprensione) i suoi testi, in particolare ‘Amore e responsabilità’, un tomo che il nostro sacerdote don Angelo Morelli consigliava a chi s’era incamminato sulla via del matrimonio. Seppi dell’attentato in piazza San Pietro di ritorno dal viaggio di nozze, maggio 1981: entrato in un bar, sfogliai un quotidiano e vidi il Santo Padre in foto, accasciato e sofferente. Quindi Giovanni Paolo Secondo venne a Varese, 2 novembre 1984. Mia mamma Ines era morta da un paio di mesi, troppo giovane per andarsene. M’era rimasto dentro un senso di smarrimento e di paura, non così determinante da impedirmi però di salire lungo la rizzada che conduce alla Madonna del Monte. Ore di attesa e, finalmente, il passaggio del baldanzoso Karol. Scattai una foto, ma saliva troppo in fretta e venne mossa. In effetti ricordo che mi impressionò il suo fisico atletico, il suo procedere lesto (si era ormai quasi al Mosè) e l’assenza di fiatone, benché fosse lui a scandire le Ave Maria. Ventun anni sono poi ruzzolati via come una grossa palla di piombo su un piano inclinato. E oggi, venerdì primo aprile 2005, risalendo lungo le sacre pietre del Santo Colle varesino -sassi che hanno sopportato il peso di secoli di pellegrini, roccia che è sopravvissuta a loro, a Karol e che invecchierà meglio di me- ho pregato per Giovanni Paolo Secondo. E mentre pregavo, il Papa ha perso conoscenza ed è entrato in agonia. Sì, il mio Karol è soprattutto questo, senza enfasi mediatiche: un pellegrino in salita, con i grani del rosario che scivolano da un dito all’altro, gli occhi fiduciosi verso l’apice del campanile della Madonna del Monte, e ancora più in alto.

     

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