martedì 16 luglio 2013

Il racconto del mercoledì





BISTURI
di carlozanzi


Erano le undici e ventotto di un martedì di primavera. Entrando nella stanza filtro, pensò che aveva già fame. Davanti a lui un intervento chirurgico che lo avrebbe impegnato due ore almeno. Di ciò si dispiacque. Si svestì degli abiti borghesi, tolse anello, orologio, indossò gli abiti di lavoro, compresa mascherina  e cappellino. Diede inizio al lavaggio delle mani e degli avambracci. Il rumore dell’acqua gli fece venire sete.
L’equipe lo attendeva. Ripassarono insieme l’operazione, notò che era come pensava, cioè faceva parte della squadra anche l’infermiera più bella di tutto il nosocomio. Di ciò ci compiacque. Entrò in sala operatoria, indossò il camice sterile, i guanti, l’anestesista iniziò ad intubare il paziente, altri regolarono il fascio della lampada scialitica, vide le garze sterili e la sezione nuda del corpo del malato, già disinfettata.
Non aveva più fame né sete. Si concentrò, ripassò la successione degli eventi, delle manovre, guardò la bella infermiera, scacciò l’immagine distraente, che li vedeva abbracciati in un letto, nudi e felici, quindi disse, con tono solenne, allungando le braccia in avanti e muovendo le dita come per fare il solletico all’aria: “Bisturi.” La strumentista glielo passò.
Un pensiero lo bloccò. Immaginò il fluire delle preghiere che, molto probabilmente, avevano preceduto il suo operare da esperto chirurgo; vide le tante orazione che forse si stavano rincorrendo in quell’attimo in chiese lontane, luoghi di lavoro, appartamenti privati, e le successive, di ringraziamento, che avrebbero salutato quell’intervento piuttosto impegnativo. 
Raccolse due pensieri precisi. Il primo: quante parole buttate al vento, quanto tempo sprecato. Il secondo: tutto dipendeva solo e soltanto da lui, dalla sua mano ferma, dal millimetro in più o in meno, dalle tante ore impiegate sui libri (quelle sì, ben spese), dalla lunga pratica ospedaliera che ora gli regalavano quel posto di prestigio, ritto in piedi davanti ad un uomo inerme, nelle sue mani.
Osservò il luccichìo del bisturi, lo sollevò leggermente, vide il suo viso deformato, ci si specchiò con orgoglio.
“Professore…” disse l’aiuto, notando la sua immobilità.
‘Già, è tempo di intervenire’ pensò, ‘dimostrando una volta di più che Dio può rincuorare, ma ciò che conta è tagliare bene.’
Stava per inchinarsi verso l’operando, quando non gli sfuggì un rapido segno di croce, disegnato dalla infermiera carina.
Mai se lo sarebbe aspettato. Si rimise dritto, passò il bisturi alla strumentista, che restò interdetta, e si avvicinò alla ragazza.
“Ma che ha fatto?” disse.

“Ciò che non ha fatto lei, professore” rispose la donna con un sorriso che si leggeva negli occhi, piccoli soli sopra l’orizzonte della mascherina.  

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