lunedì 22 ottobre 2012

Quel giorno che tremò la notte 3



TRE

La loro storia cominciò come inizia un temporale buono, che arriva dopo la siccità e porta umido e fresco, nuvole nere che non annunciano danni ma una momentanea privazione del sole, per un vantaggio maggiore.
“Ciao” e quello fu il primo fulmine, dentro il vernissage della mostra di un’artista dal futuro di probabile insuccesso.
“Ciao” disse Romano.
“Sei l’amico di Giorgio?” disse Roberta.
“E tu sei l’amica di Giorgio?”
“Giorgio ne ha tante di amiche.”
“Già, e tu delle tante chi sei?”
“Roberta.”
“Romano” e fermò al nome la presentazione.
“Allora sei tu.”
“Cioè?”
“Il giornalista.”
“Diciamo così.”
Cominciò quella sera in via Giambellino, galleria Novelle Vouge, una sera di primavera, a Milano. 
“Roberta la studentessa.”
“Coi libri sono alla fine, per fortuna.”
Romano le stava di fronte, un calice nella destra, un pasticcino nella sinistra. C’era gran ressa in quel paio di locali senz’aria, luce forte e un fastidioso rumorio di sottofondo. Dovevano urlare.
“Alla fine?”
“Laurea magistrale in lettere, due esami e la tesi.” Anche Roberta teneva un calice in mano.
“Alla laurea” e Romano alzò lo stretto bicchiere, qualcuno lo urtò, gocce gli finirono sui capelli: “Cazzo” disse.
Roberta sorrise e alzò il calice.
“Senti, ci spostiamo? Si soffoca.”
“E dove?”
“Che buco di galleria. Ci vieni spesso?”
“Mai.”
“Però Giorgio ti ha trascinata?”
“E’ un amico, sa quando ho bisogno di uscire.”
“E ti porta qui?”
“Mi ha detto che avrei incontrato gente interessante.”
Romano la studiava, ogni nuovo dato confermava la prima impressione, la rendeva sempre più vera. Gli era piaciuta al primo sguardo. Una dolce emozione che cresceva lentamente. E non capiva come Giorgio avesse potuto parlare di Roberta (a lui, più volte) come di una ragazza solo interessante, solo carina, in crisi per la fine di un amore durato anni. Quella sua bellezza senza eccessi, che Giorgio aveva definito trasandata, gli entrò dentro come una lama. In piedi, con il calice a mezz’aria e in bocca un sapore dolciastro di vino e di ansia, Romano era intimidito.
“Là c’è un po’ di spazio” disse Roberta.
“Va bene, spostiamoci.”
Era tutto un gran parlare; pochi, in silenzio, allungavano sguardi interessati verso i quadri. Un tale, che ostentava un vezzo da intenditore, sfilò gli occhiali e andò con la punta del naso a sfiorare la tela, ma i convenuti stavano per lo più ammassati nel mezzo, lasciando sottili corridoi ai lati. Due camerieri si incuneavano nella ressa alzando vassoi e offrendo vino e dolci.
Trovarono un angolo libero, almeno un paio di metri fra lo spigolo e i quadri. Si appoggiarono di schiena, per guardarsi dovevano girare la testa.
“Allora, Giorgio ti avrebbe parlato di gente interessante.”
“Già.”
“E anche di un giornalista.”
“Non di uno solo.”
“E di Romano cosa dice?”
Roberta abbassò lo sguardo, appoggiò il lungo tacco dello stivale destro contro la parete, tacco e suola, rigirò lo spumante nel calice e ne bevve un sorso. “Che è un tipo interessante.”
“Tutto qui?”
“Ti sembra poco?”
Con i tacchi era alta come lui, un metro e ottanta scarso. I capelli erano tinti con moderazione, un rosso castano che gli regalarono un’immagine nota, Angelina Jolie: labbra carnose, occhi limpidi come il mare di Villasimius. Ma a differenza dell’attrice, Roberta li aveva scuri, e forse la scelta del colore dei capelli era per star bene con quegli occhi. “Conosci Alison Krauss?” disse Romano.
“No. Chi è?”
“Una cantante americana. Le somigli.”
“Di solito ricordo la Jolie, almeno così dicono.”
“Sì, ma sei identica a Alison Krauss.”
“Se lo dici tu. Mi informerò.” Roberta si guardò la punta dei piedi, allungò il bicchiere: “Me ne porti un altro? Ti scoccia?”
“Vado, aspettami.”
Tornò ma Roberta non stava più contro il muro, all’angolo. Si era spostata di un paio di passi, parlava con Giorgio e due altre ragazze.
“Ecco” disse Romano.
“Grazie.”
“Romano è un mascalzone” disse Giorgio a Roberta. “Se ti chiede l’amicizia su facebook non ci cascare.”
Romano pensò che se Giorgio avesse cambiato aria insieme alle due amichette, avrebbe trovato in seguito il modo per ringraziarlo. Lavoravano per lo stesso giornale.
“Ricordati le cinquanta righe” disse Giorgio.
“Devo?”
“Devi.”
“E cosa scrivo?”
“Hai parlato con l’artista?”
“No.”
“Vacci. Aspettano il pezzo prima delle dieci.”
“Mi tocca” e guardò Roberta.
“Buon lavoro.”
Si salutarono.

 
                                                                                   (3 - continua)  






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